Addio al dinosauro: personalizzare significa perdere identità?

Addio al dinosauro: personalizzare significa perdere identità?

Qualche giorno fa, quei “matti” di Google Labs hanno pubblicato una nuova versione del celebre gioco “Dino”, quel minigame all’interno di Chrome a cui accedi quando non funziona internet. O, per meglio dire, una divertente soluzione di usabilità per evolvere il “Oops something went wrong”.

Immagine che raffigura il celebre gioco di Google Chrome: Dino.

Mi sembra quasi ridicolo dover spiegare la meccanica innovativa, perché di questi tempi ne esiste solo una: l’intelligenza artificiale generativa (GenAI). Ebbene sì, ora anche il nostro amato dinosauro è stato “contagiato” dal trend artificiale degli ultimi anni: in “GenDino“, l’utente può sostituire a suo piacimento gli elementi distintivi del gioco. 

GenDino, la nuova versione di Dino potenziata dall’Intelligenza Artificiale Generativa

Come in qualsiasi altro strumento di GenAI ci troviamo di fronte alla nostra cara casella del prompt dove possiamo inserire tre informazioni: chi vogliamo essere, quale ostacolo vogliamo saltare e cosa deve esserci sullo sfondo. In pochi secondi ti trasformi in un super Mario che salta browser con delle macchine sullo sfondo.

La schermata iniziale di GenDino dove l’utente è libero di scegliere i suoi personaggi, in questo caso, Super Mario, Bowser e Stinkycar. (immagine di How-to Geek)

E il nostro dinosauro, dov’è finito? Dopotutto il gioco si chiama ancora “GenDino”. Abbiamo rimosso il personaggio principale  ma percepiamo di giocare ancora allo stesso gioco. Come è possibile? Il gioco è stato personalizzato secondo le nostre richieste ma ha mantenuto la sua unicità… Un paradosso?!

Questo episodio mi ha portato a riflettere su una delle tendenze future più evidenti della GenAI: la personalizzazione. Non è una novità, ma è diventata un argomento di discussione comune solo recentemente. Di fatto, già i famosi algoritmi dei social network sono un ottimo esempio di personalizzazione attraverso l’Intelligenza Artificiale (AI): Instagram attraverso la sezione “Per te” consiglia post e contenuti basati sugli interessi dell’utente, Spotify tramite la playlist “Discover Weekly” suggerisce nuove canzoni in base ai propri gusti. Ma quindi…se questa dinamica è già presente, perché parlare di tendenza futura?

Riprendiamo l’esempio del nostro caro dinosauro: “GenDino” può essere considerata una versione “con gli steroidi” del Dino originale grazie alla GenAI che ha introdotto la possibilità di stravolgere completamente il gioco. I cambiamenti apportati da questa tecnologia stanno trasformando l’industria in modo così incisivo da creare un divario enorme tra quello che esisteva qualche anno fa e ciò che esisterà fra qualche anno. Di conseguenza, anche tutte le dinamiche legate a questa tecnologia, come la personalizzazione, evolveranno a una velocità tale da rischiare di sfuggire al controllo. Immaginatevi i videogame del futuro che avranno mondi aperti, infiniti e in continua generazione con i Non-Playable Character (NPC) che interagiranno in maniera fin troppo simile a quella di un essere umano e, soprattutto, tutte queste caratteristiche saranno diverse di giocatore in giocatore. Ognuno avrà i propri mondi, il proprio arco narrativo, i propri personaggi. Ma allora, dove risiede l’unicità del gioco che lo rende un prodotto vendibile e, soprattutto, difendibile da un punto di vista legale? Forse esiste un livello superiore e intangibile che regola il tutto?

Come studente di design ho imparato un concetto fondamentale riguardo all’unicità dei prodotti: la brand identity, ovvero l’immagine che rende un brand riconoscibile. Essa è composta da elementi visibili come il logo, i colori, la tipografia, le forme, e da una sovrastruttura invisibile composta da emozioni, valori e cultura. Questi elementi, restando invariati, permettono la riconoscibilità del brand pur consentendo una variabilità nella sua declinazione.

La sovrastruttura (visibile e invisibile) che crea l’identità di un prodotto e lo rende riconoscibile rispetto agli altri.

Quindi, analizzando nuovamente il nostro esempio di partenza, possiamo comprendere perché riconosciamo GenDino anche quando il dinosauro è rimosso. Questo perché il dinosauro non risiede più nella sua rappresentazione visiva bensì nei caratteri della sua brand identity come la bidimensionalità del gioco, l’estetica 8 bit, la scelta cromatica dei due grigi, la ripetizione di soli TRE elementi sullo schermo, la loro composizione e soprattutto il principio alla base del gioco: un banale e semplice passatempo. 

Apparentemente abbiamo risolto il dilemma ma c’è ancora qualcosa che non quadra. Ho parlato di una struttura immutabile eppure l’AI sembra modificarla ogni qualvolta il giocatore preme “Let’s run” e genera i suoi nuovi “protagonisti” del gioco. Ebbene si, abbiamo sempre visto la brand identity come qualcosa di fisso e intoccabile, un insieme di elementi che non devono essere modificati per mantenere l’unicità del prodotto; tuttavia, con la crescente personalizzazione offerta dall’AI questo concetto sta cambiando. Da ora diventerà di naturale prassi modificare alcuni elementi della nostra brand identity portando ad un inevitabile ribaltamento del sistema, il quale ci chiederà di identificare gli elementi minimi che devono rimanere invariati affinché il prodotto sia percepito come uguale. Se finora ci limitavamo a distinguere tra elementi visibili e invisibili, è giunto il momento di attuare una nuova distinzione fra mutabili e immutabili. Ma è fondamentale appuntare che questi elementi non saranno sempre gli stessi: in una situazione possiamo cambiare il colore del brand, in un’altra lo stile, in un’altra ancora il personaggio principale e così via. Dobbiamo solo individuare una base di elementi fissi per mantenere la coerenza con il prodotto originale. 

La struttura di elementi mutabili e immutabili della Brand Identity

Ad esempio, nel cinema un concetto di personalizzazione già presente è rappresentato dagli interactive movies nei quali l’utente viene sottoposto a delle decisioni che vanno a mutare il film. Nel caso di Black Mirror: Bandersnatch il film è già stato deciso in partenza, in quanto il regista ha girato determinate scene andando a formare una serie di alternative alla sequenza principale. 

Un frame tratto da Black Mirror: Bandersnatch in cui è sottoposta una scelta allo spettatore (accetta o rifiuta?)

Ora, invece, questa cosa è esasperata dal momento che le scene possono essere generate nel momento in cui l’utente fa la scelta. Non c’è più bisogno di una registrazione iniziale perché le scene vengono generate con l’intelligenza artificiale generativa che può stravolgere completamente il prodotto con la sua capacità di mutazione. E quindi anche qui ci troviamo di fronte alla necessità di capire quali sono questi elementi minimi che non possono cambiare. Ad esempio, una volta posso decidere di cambiare il mio punto di vista, passando dall’attore principale a un personaggio secondario, ma non posso cambiare tutto il resto della narrazione. Un’ altra volta posso modificare la trama ma sono costretto a mantenere il punto di vista dell’attore principale. E se questa vi sembra fantascienza vi invito a digitare su Google “Showrunner AI: The Simulation”.

Showrunner AI permette agli utenti di creare episodi di serie TV personalizzati utilizzando l’intelligenza artificiale. Questo strumento genera dialoghi, voci e sviluppi dei personaggi in base ai prompt degli utenti, mantenendo però una coerenza narrativa e stilistica grazie a sofisticati modelli di intelligenza artificiale e simulazioni multi-agente. Vi faccio un esempio: l’utente può decidere di ricreare How I Met Your Mother ma dal punto di vista di Barney Stinson, probabilmente verrebbe a chiamarsi “How I Never Met Your Mother” ma questa è un’altra storia… Questo strumento, se da un lato democratizza la creazione di contenuti permettendo a chiunque di diventare un creatore di show, dall’altro porta al dilemma della nave di Teseo. Se io modifico una parte dopo l’altra alla fine il prodotto è ancora lo stesso?

Immagine che raffigura il paradosso della nave di Teseo. La nave rimane sempre la stessa (a=b=c?).

Finora abbiamo parlato di modifiche apportate a prodotti già esistenti che possiedono una brand identity consolidata. Ma cosa succede se dobbiamo creare nuovi prodotti e generare una brand identity ex novo? Se “GenDino” non avesse avuto una base di partenza come “Dino”, riconosciuto e iconico, avremmo ancora il problema della nave di Teseo? Esiste una nave originaria in questo caso?

Non si tratta più di modificare parti di un prodotto esistente e chiedersi se è ancora lo stesso, ma di domandarsi se abbiamo una nave originale. Quando creiamo nuovi prodotti che possono essere mutati continuamente dobbiamo chiederci se stiamo creando prodotti unici o semplicemente varianti senza un punto di riferimento centrale. Nel contesto della creazione di nuovi prodotti è fondamentale avere una linea o un arco temporale principale da cui partire. Questo prodotto centrale serve come punto di riferimento stabile che permette la personalizzazione senza perdere l’identità originaria. 

Immagine che raffigura le due casistiche di personalizzazione: con e senza una linea principale che conferisce una struttura di riferimento al prodotto.

Ad esempio, nuovi film generati dalla GenAI possono essere personalizzati dagli utenti, ma devono comunque avere una struttura narrativa centrale che ne preservi l’integrità.

Insomma, questo trend della personalizzazione è qualcosa che stravolgerà l’intero ecosistema di prodotti e servizi. La capacità di adattare contenuti e esperienze alle preferenze individuali degli utenti non solo democratizza la creazione di contenuti, ma ridefinisce anche il concetto stesso di brand identity. Mentre continuiamo a esplorare le potenzialità dell’intelligenza artificiale generativa, è essenziale trovare un equilibrio tra flessibilità e coerenza. Solo identificando e preservando gli elementi fondamentali che costituiscono l’essenza di un brand possiamo garantire che, nonostante le infinite possibilità di personalizzazione, l’identità e l’integrità del prodotto rimangano intatte. Questo richiede una riflessione profonda su quali elementi sono davvero indispensabili e quali possono essere modificati senza compromettere l’essenza del prodotto. La sfida e l’opportunità risiedono proprio qui: nel creare un futuro dove la personalizzazione non significa perdita di identità, ma evoluzione e adattamento di essa.

 

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